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Giocare a minibasket non vuol dire creare giocatori di basket

Giocare a minibasket non vuol dire creare giocatori di basket

GIOCARE A MINIBASKET……………………. NON CREARE SOLO GIOCATORI DI BASKET

 

Premessa

In questa sede voglio proporre alcune mie riflessioni sui concetti di gioco, di giocosport e di sport, come possibili percorsi di sviluppo del carattere e della personalità del bambino e in particolare mi soffermerò sulle differenze concettuali che esistono tra gioco e sport.

Bruno Bettelheim afferma che “la capacità di godere della competizione si costituisce sull’esperienza di gioco dalla prima infanzia”.

Il gioco contribuisce allo sviluppo affettivo ed emotivo del bambino in quanto “è la strada maestra per arrivare al mondo interiore del bambino” (Bettelheim 1987).

Il gioco

Il bambino attraverso il gioco si libera dalle sue ansie e dalle sue paure e consegue un migliore adattamento alla realtà dove reale e fantastico si confondono. Sentire che il proprio corpo è attivo, ascoltarlo, agire sul proprio corpo, sono gli elementi portanti dell’evoluzione del bambino.

In tal senso si sviluppano nel bambino le prime emozioni, la curiosità lo guida alla scoperta attraverso il gioco e lo stesso gioco gli permette di interpretare le emozioni che ne derivano.

Il gioco contribuisce fortemente allo sviluppo cognitivo e all’apprendimento e a tale scopo Gross con il suo studio sui giochi motori e Piaget con il suo approccio clinico-genetico hanno analizzato le funzioni simbolica e imitativa del gioco che influiscono sugli apprendimenti.

Piaget ha suddiviso i giochi in:

  • ripetitivi (sviluppano gli schemi senso-motori);
  • imitativi (riproducono comportamenti e attività tipiche di altri o dell’ambiente circostante);-
  • simbolici (far finta di…..);
  • normativi (centrati sulle regole).

Lo sviluppo sociale è influenzato dal gioco e il suo sviluppo lo troviamo espresso da Merleau-Ponty, in Wallon, in Cousinet, in Orlick, in Vigotsky (il gioco è un potenziale educativo), in Moltman (il gioco ha una forte base biologica ed è di tipo etologico), in Bandura (self-efficacy), in Freud e in Lorenz.

Tutto ciò significa che il gioco libero deve essere diretto e guidato solo dopo che il bambino ha acquisito le tappe di sviluppo necessarie a introdurre i giochi strutturati e “questo assolutamente non prima dei 3 anni e in misura equilibrata fino agli 8 anni” (Le Boulch).

In una prospettiva evolutiva il gioco è:

– un fenomeno fondamentale dell’educazione e dell’evoluzione psico-fisica della persona;

– un potente strumento di maturazione e di adattamento;

– un’espressione del passaggio dall’isolamento dell’inconscio alla relazione sociale dell’Io.

Le dimensioni del gioco sono:

  • esplorativa (il bambino amplia le sue conoscenze ed è spinto dalla curiosità come motivazione primaria al gioco);
  • catartica (il bambino si sottrae momentaneamente alla realtà);
  • simulativa (esperienza in situazioni non sotto il controllo diretto dell’adulto);
  • normativa (il bambino prende parte alla costruzione attiva delle regole ed è attore principale del processo normativo).

Durante il gioco si acquisiscono la perseveranza, l’attenzione, la costanza provando e riprovando, è attraverso il gioco che il bambino inizia a comprendere come funzionano le cose e se l’adulto non attribuisce un significato al piacere del gioco, limita di fatto le possibilità di sviluppo del bambino stesso.

 

Il giocosport

Quando un bambino arriva a 6 anni nell’organizzazione sportiva (Società Sportiva, Centro Sportivo, Club), come del resto a scuola (Scuola Primaria), l’Educatore, l’Insegnante, l’Istruttore devono valutare se sono state poste le basi del gioco, prima di procedere in senso competitivo. Le fasi da rispettare sono:

  • 5-6 anni: educazione e sviluppo degli schemi motori di base e posturali;
  • 7-8 anni: educazione e sviluppo delle capacità coordinative e di mobilità articolare;
  • 9-10 anni: strutturazione delle capacità condizionali;
  • 11-12 anni: educazione e sviluppo delle capacità condizionali.

 

L’evoluzione del giocosport Minibasket

A 5-6 anni non si deve parlare assolutamente di fondamentali cestistici ma di giochi con la palla e con i piccoli attrezzi; niente partite, solo giochi divertenti, interessanti e curiosi.

A 7-8 anni il bambino deve scoprire da solo (con l’aiuto dell’Istruttore) delle regole: a che cosa serve il palleggio, perché si deve tirare a canestro, perché si deve passare la palla ai compagni e che cosa si deve difendere (prima il possesso della palla e poi il proprio canestro, ma il bambino non capisce il concetto di difesa, il suo modo di difesa è l’attacco perché vuole il possesso della palla). Proporre giochi di 1 c 1, 2 c 2 e 3 c 3 a due canestri (campo ridotto)

A 9-10 anni il bambino inizia a capire le regole e il concetto di giocare con gli altri compagni. Continua il lavoro di educazione e di sviluppo delle capacità coordinative e di mobilità articolare. Si può passare dal 3 c 3 in forma libera al 3 c 3 in forma organizzata e al 4 c 4 al 5 c 5 in forma libera.

A 11 anni si registra il passaggio dal giocosport Minibasket al basket giovanile. Cambiano le regole e si gioca 5 c 5 (passaggio dal gioco in forma libera al gioco un po’ più organizzato).

 

La pallacanestro

A 12 anni il bambino inizia a giocare con gli altri (a 2 e al massimo a 3), si gioca 5 c 5 con regole ben precise. Si possono perfezionare i fondamentali cestistici, la correzione diventa più analitica, continua il lavoro di educazione e sviluppo delle capacità motorie.

Conclusioni

Il gioco libero, il giocosport Minibasket, la Pallacanestro sono necessari per crescere, ma il Minibasket senza il gioco libero e la Pallacanestro senza il Minibasket creerebbero un castello di carta che si sgretolerebbe al primo soffio di vento.

 

“Il gioco insegna a muoversi, a immaginare, a pensare” (Laeng).

 

Il gioco è un apprendimento continuo, il bambino gioca per costruire, per sentire, agisce per far suo il mondo che lo circonda e attraverso il gioco pensa ed elabora i suoi concetti.

Sant’Agostino andava a studiare latino da un maestro che lo puniva quando sbagliava e spesso non andava a lezione per recarsi all’Oratorio a giocare al pallone. Nelle Confessioni chiede perdono a Dio per quelle disubbidienze, ma poi aggiunge che il latino lo imparò ugualmente quando trovò un maestro che glielo insegnava sorridendo.

“Il valore di un sorriso è immenso, un sorriso non costa nulla, ma vale molto e arricchisce che lo riceve e chi lo dona. Nessuno è così povero da non poter regalare un sorriso, nessuno è così ricco da poterne fare a meno.”

Cari Istruttori entrate in palestra con il sorriso sulle labbra, giocate con i vostri bambini sorridendo, non guardateli frettolosamente, guardateli negli occhi, vi diranno subito di quello che hanno bisogno e vi accorgerete che i bambini hanno tanto bisogno di giocare, giocare, giocare!

Giochiamo a Minibasket! IO STO CON I BAMBINI

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Prof. Maurizio Mondoni
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