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Il perché dell’abbandono sportivo

Il perché dell’abbandono sportivo

Premessa
Per cercare di avere una visione globale del fenomeno dell’abbandono, dobbiamo chiederci quali sono i principali motivi e le dinamiche psicologiche che convincono un bambino a iniziare una qualsiasi attività sportiva.

[Tweet “In Italia purtroppo quasi mai i bambini scelgono l’attività sportiva da praticare”]

In Italia purtroppo non sono sempre i bambini a scegliere l’attività motoria e sportiva da praticare, ma spesso sono i genitori e questo è un grave errore e potrebbe essere una delle cause dell’abbandono sportivo in età precoce.

La molla iniziale che fa decidere di intraprendere questa nuova avventura, è formata da diversi fattori motivazionali:
– il provare piacere nella pratica motoria;
– il giocare e far parte di una squadra;
– l’indossare una maglia (divisa della squadra);
– il relazionarsi con gli altri (amicizia con i coetanei);
– il divertimento fine a se stesso;
– sentirsi bene fisicamente.

L’attività sportiva in età adolescenziale, soprattutto se praticata a livello agonistico, s’innesta su un terreno ricco di capovolgimenti interpersonali e problematiche esistenziali, andando a influire su dinamismi intrapsichici e agendo sulle capacità di controllo dell’Io e sulle dinamiche inconsce che in questo periodo subiscono massicci riaggiustamenti” (F. Zimbardi)

Perché esiste il fenomeno dell’abbandono?
Ogni anno migliaia di giovani abbandonano l’attività sportiva, ma raramente ciò accade perché è nata in loro una nuova passione a cui vogliono dedicarsi.
I giovani abbandonano lo sport perché non trovano soddisfatti i bisogni che li avevano inizialmente spinti a intraprendere questa attività.
Non si pratica più uno sport (drop-out) quando le motivazioni iniziali non sono, in parte o del tutto, soddisfatte.

Il drop-out
Drop-out, leteralmente significa “cadere fuori”, “ritirarsi”. Da studi e ricerche effettuate si evince che circa il 20% dei maschi e il 40% delle femmine interrompe prematuramente la pratica sportiva agonistica.

[Tweet “Drop out: la fascia d’età più a rischio è quella tra i 15 e i 17 anni”]

La fascia d’età più a rischio è tra i 15 e i 17 anni per i ragazzi, mentre per le ragazze questa tendenza si manifesta leggermente prima.
Per certi aspetti il drop-out può essere considerato “fisiologico”, essendo inevitabile un mutamento di interessi e priorità nella vita dei giovani.

Perché si abbandona lo sport?
Quali sono le carenze o le azioni negative che accelerano l’abbandono o comunque nulla fanno per contenerlo?

Per il giovane i motivi basilari di questa scelta sembrano essere:
– la carenza di momenti di gioco e di divertimento;
– poco tempo libero a causa degli allenamenti;
– altri interessi;
– diminuzione dell’autostima;
– una spropositata esasperazione della competizione sportiva (ansia pre-agonistica, mancanza di successi, noia e monotonia dell’allenamento, rapporto genitori-allenatori, difficoltà di coesione con il gruppo, rapporto allenatore-atleta, infortuni);
– il raggiungimento della vittoria ad ogni costo.

Chiedere la vittoria ad ogni costo
Chiedere o pretendere da un bambino, fin dalla sua prima esperienza sportiva, la vittoria ad ogni costo, promettendo ricompense, può influenzare negativamente il processo di sviluppo delle sue motivazioni a continuare a praticare lo sport.

[Tweet “Drop out: quando il bambino non gioca più per il suo piacere”]

Se a questo si aggiunge un inadeguato supporto emotivo nei momenti delicati degli insuccessi e delle sconfitte, si creano le premesse per cui il bambino giocherà non tanto per se stesso, ma per le richieste, per lui a volte incomprensibili, del nostro mondo fatto a misura di adulto.

Bisognerebbe ricordarsi che la nostra idea di adulti e il nostro modo di concepire il divertimento, non sempre è uguale a quello del bambino.

Se per noi l’importante è vincere, senza nessuna via di mediazione, per il bambino inizialmente può essere più interessante l’aspetto ludico-motorio dell’attività sportiva, il correre e il giocare con altri bambini; gradualmente, nel periodo puberale, sarà poi lui ad impegnarsi maggiormente nella competizione, affermando la sua voglia di crescere e di affermarsi.

Le cause specifiche comuni a molti casi di abbandono sportivo, sono:
– lo studio, inteso come un impegno che richiede sempre maggior tempo;
– il non sempre facile rapporto con l’allenatore, a volte poco attento alla relazione interpersonale e spesso troppo esigente;
– le difficoltà legate alla socializzazione e alla competizione con i compagni e spesso viene a mancare “il gusto” di stare in compagnia e di divertirsi;
– la troppa fatica fisica che si deve sopportare durante gli allenamenti;
– l’ansia da competizione che è generata dalle eccessive richieste ambientali (non bisogna attribuire troppa importanza al risultato da parte dei genitori, allenatori, dirigenti; bisogna scegliere competizioni sportive adeguate (non frustranti); occorre prestare attenzione all’impegno e ai miglioramenti che di volta in volta si ottengono e non fare paragoni con gli altri;
– gli scarsi risultati ottenuti nella disciplina praticata;
– l’inizio troppo precoce dell’attività agonistica;
– le strutture sportive troppo lontane e talvolta fatiscenti;
– i costi troppo alti;
– i genitori troppo “pressanti”.

In questi casi, quando manca quest’aggancio, scompaiono le motivazioni per la pratica sportiva.

Queste motivazioni non sono comunque caratteristiche stabili o leggi assolute applicabili in ogni contesto sportivo, ma anzi si modificano nel delicato periodo dell’adolescenza, subendo un’influenza sociale, famigliare, personale.

La motivazione
Per i giovani dai 5 agli 11 anni è molto importante il sostegno dell’Istruttore-Educatore, dei genitori, degli amici (dimensione affiliativa), il giocare con i compagni ed incontrarne di nuovi.

[Tweet “La fiducia in se stessi è la vera chiave della motivazione.”]
Man mano che i bambini crescono e passano dall’infanzia alla prima adolescenza, emergono altre motivazioni, quali l’acquisizione di competenza sportiva, il desiderio di gareggiare e di confrontarsi con gli altri (agonismo da non confondersi con antagonismo).

Il giovane deve avere fiducia in se stesso e in quello che è in grado di fare. Nella formazione dell’autostima i fattori ambientali ed educativi sono essenziali e in particolare i giudizi espressi dalle persone significative (Genitori, Insegnanti, Educatori, Istruttori, Allenatori).

L’acquisizione di fiducia in se stessi è la vera chiave della motivazione. Solo chi ha forti motivazioni vince gli ostacoli e le difficoltà e continua ad allenarsi e a gareggiare: è importante mantenere alta la motivazione.

La motivazione è l’agente fisiologico emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo e costituisce la chiave di accesso ai risultati e può essere associato al termine “bisogno” (motivo-azione).

La motivazione ha due fonti:
– nasce dall’interno della persona (intrinseca);
– scaturisce dall’esterno della persona (estrinseca) e deriva da altre persone (allenatore, squadra, famiglia) attraverso il rinforzo (positivo/negativo) e ricompense. Il comportamento è mosso maggiormente dal bisogno di raggiungere un’approvazione esterna piuttosto che verso la soddisfazione di un bisogno individuale.

La cultura motoria e sportiva, l’etica sportiva e le Agenzie Educative
La cultura motoria e sportiva è la sintesi armonica delle esperienze e delle sensazioni maturate con il passare del tempo in ambito motorio e sportivo.
[Tweet “L’etica sportiva è vivere e applicare tutto ciò in modo corretto.”]

Chi deve infondere una corretta cultura motoria e sportiva?
Le Agenzie Educative più importanti per l’inizio di una pratica sportiva sono:
– la Famiglia
– la Scuola
– la Società Sportiva

La prevenzione
Il fenomeno dell’abbandono sportivo è un dato di fatto presente e di non facile interpretazione, in ogni caso, si potrebbe riesaminare il problema alle radici, tralasciando l’ottica della cura e assecondando quella della prevenzione, attraverso:
– una più attenta e ragionata progettazione dei programmi sportivi da parte delle Federazioni Sportive Nazionali;
– non esasperare l’attività agonistica in età precoce (da non confondersi con un avviamento precoce all’attività motoria e al gioco);
– all’inizio far giocare allo sport e non far praticare lo sport;
– far “provare” al bambino un ventaglio di attività sportive, in modo che possa scegliere autonomamente quello sport a lui più congeniale e che gli piace di più;
– una maggiore conoscenza, teorica e pratica, di alcune discipline scientifiche come la psico-pedagogia e la psicologia dello sport;
– formare nuovi Istruttori-Educatori che strutturino le lezioni e gli allenamenti più divertenti, interessanti e didatticamente validi.

Quest’ultima variabile merita un particolare approfondimento, perché sovente le competizioni sportive sono seguite, organizzate e in alcuni casi anche dirette da genitori.

Questa positiva iniziativa, può però rivelarsi un’arma a doppio taglio, in quanto, nonostante l’impegno e la buona volontà, gli adulti possono diventare una delle possibili fonti d’interferenza nell’attività sportiva del giovane.

Se l’Istruttore non rispetta e non soddisfa i bisogni e le motivazioni del giovane atleta commette un grave errore che avanti con il tempo potrebbe portare all’abbandono sportivo.

E’ estremamente importante che i Genitori, gli Insegnanti, gli Istruttori, gli Allenatori, i Dirigenti comprendano quali sono i “bisogni” dei loro atleti. Maslow concepì il concetto di gerarchia dei bisogni (o necessità), ordinati per priorità.

Prima di soddisfare i bisogni più alti della piramide, la persona tende a soddisfare quelli più bassi, cioè quelli più importanti per la sopravvivenza.

Rinforzare la prestazione
Per evitare l’abbandono precoce è importante rinforzare la prestazione e non solo il risultato; ogni atleta desidera essere rinforzato per la qualità della sua prestazione più che per la vittoria.
Talvolta, invece, l’Allenatore è più preoccupato a vincere o a non perdere piuttosto che essere interessato alla prestazione dei suoi atleti.
Un comportamento esasperato in questa direzione conduce gli atleti a pensare che l’Allenatore non è interessato a loro, ma solo alla vittoria (per poi apparire sui giornali come l’Allenatore dell’atleta che ha vinto).

Quando l’atleta è a conoscenza che il suo Allenatore vuole il massimo dal suo impegno e per questo è rinforzato, non avrà paura di provare e riprovare.

Al contrario se il giovane si aspetta di essere premiato solo in base al risultato, è possibile che abbia paura di sbagliare, pensando alle conseguenze negative di un insuccesso. Comportandosi in questo modo l’Allenatore favorisce l’insorgere dell’ansia da competizione e dell’insicurezza nei suoi atleti, che potrebbero anche ridurre il loro impegno, concentrandolo solo sulle abilità che padroneggiano con successo.

[Tweet “Gli atleti con scarsa autostima devono essere rinforzati continuamente.”]
Gli atleti con scarsa autostima devono essere rinforzati di frequente e subito dopo azioni o movimenti corretti (talvolta rinforzare anche se non lo meritano). E’ importante rinforzare frequentemente quando un giovane atleta sta imparando nuove abilità sportive e i rinforzi devono essere chiari, precisi e frequenti.
Con i più giovani l’Educatore deve evitare i rinforzi materiali (trofei, medaglie, soldi, materiale sportivo) e utilizzare spesso i rinforzi simbolici (gesti o parole di approvazione, espressioni d’interesse, sorrisi).
Se un giovane commette un errore non lo si deve punire con un evento sgradevole (piegamenti, giri di campo), ma è importante fargli capire dove ha sbagliato e cosa dovrebbe fare per correggersi, utilizzando un linguaggio positivo.
In palestra o sul campo di gioco il clima deve essere sereno, la comunicazione da parte dell’Educatore deve essere comprensibile e adatta alle diverse età.

L’importanza dell’Istruttore-Educatore
L’Istruttore-Educatore è la figura basilare per il giovane atleta, è uno dei tanti modelli dai quali il giovane deve attingere tutto ciò che è positivo e che gli servirà per formare il proprio carattere e la propria personalità.

[Tweet “L’Istruttore-Educatore è la figura basilare per il giovane atleta.”]
Deve essere un punto di riferimento e un modello di identificazione per i suoi atleti, sia sul piano sportivo che su quello umano.
Non deve essere un leader autoritario, ma autorevole, non deve essere eccessivamente permissivo, deve essere un leader empatico, motivatore, stimolatore, entusiasta.
Deve essere sostenuto dai genitori, deve sostenere ed informarli continuamente, deve collaborare con loro e non cercare la guerra, deve chiarire subito fin dove potrà arrivare il loro figlio, bloccando eventualmente aspettative troppo elevate, che tenderebbero a caricare di eccessiva responsabilità il giovane.

[Tweet “Alleducatore: colui che evita di distruggere la motivazione intrinseca del ragazzo.”]
Il più grande impegno di un Educatore sportivo non quello è di costruire la motivazione nei bambini e nei giovani, ma di evitare di distruggere la motivazione intrinseca dello sport che essi già possiedono.
Se il bambino è iper-protetto e privato del piacere di “farcela da solo”, gli si impedisce di sperimentare la propria autonomia e autoefficacia, poiché l’iperprotezione comunica un senso di inadeguatezza.

La vittoria e la sconfitta
L’Educatore deve insegnare ai giovani a vincere e a perdere senza eccessivi esaltazioni o drammi. Logicamente l’aspettativa della vittoria non è una cosa negativa, purché non sia l’unico obiettivo. Se si gioca e si gareggia solo per vincere i giovani saranno terrorizzati dalla paura di perdere (da qui l’ansia da prestazione) e non riusciranno a giocare e a gareggiare al pieno delle loro possibilità.

E’ importante insegnare ai giovani a gestire la sconfitta e a utilizzare gli errori, l’importante è credere in loro, apprezzare i loro sforzi e sollecitarli continuamente ad essere leali, volonterosi e tenaci. Il vincere e il perdere si riferiscono solo al risultato. Il giovane non ha fallito se, pur perdendo, ha dato il massimo.

Conclusioni
Per non incrementare l’abbandono sportivo da parte degli atleti, cosa non deve fare l’Istruttore:
– servirsi di loro per raggiungere le proprie mete personali;
– fare delle scelte in funzione esclusiva della vittoria;
– valutarli superficialmente ;
– crearsi aspettative uguali per soggetti comunque diversi;
– tenere un comportamento differente con loro sul piano affettivo e tecnico in base alle diverse aspettative di vittoria;
– metterli in situazioni di confronto a volte sgradevoli;
– sottolineare in modo eccessivo l’importanza di una competizione;
– smettere di incoraggiarli;
– evidenziare solo gli errori commessi;
– attuare programmi di allenamento troppo pesanti, inadeguati alla loro età;
– dimenticarsi della “Carta dei diritti del ragazzo nello sport”.

Per favorire la continuità della pratica sportiva ai giovani atleti, l’Istruttore deve:
– aiutarli a svilupparsi fisicamente, socialmente e psicologicamente, al massimo delle loro potenzialità;
– prendere ogni decisione nel miglior interesse per ciascuno;
– instaurare con loro un dialogo sincero;
– scegliere obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno;
– creare un clima di gruppo positivo, in cui si respiri aria di collaborazione, fiducia, sostegno e stima reciproca;
– offrire loro opportunità di “successo”;
– progettare occasioni per stare assieme anche fuori dal contesto sportivo;
– fornire loro rinforzi positivi;
– predisporre programmi di allenamento che lascino maggior tempo libero;
– ricordarsi della “Carta dei diritti del ragazzo nello sport”, emanata dal Panathlon International.

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Prof. Maurizio Mondoni
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