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Come apprendiamo nell’allenamento sportivo

Come apprendiamo nell’allenamento sportivo

Imparare a imparare: la metacognizione nell’allenamento motorio e sportivo

Tutti gli organismi animali apprendono in gradi e contenuti diversi: l’apprendimento avviene attraverso interazioni a diverso livello di complessità con l’ambiente che ci circonda. La qualità e la complessità dell’apprendimento aumenta mano a mano che si sale lungo la scala filogenetica: dal momento della nascita e anche prima, tutta la vita rappresenta un apprendimento.

Noi siamo “apprendisti” incessanti e instancabili e costruiamo momento dopo momento le nostre abilità e le nostre conoscenze (il saper fare e il saper come fare) in relazione al mondo esterno, a se stessi e agli altri.

L’apprendimento in campo motorio e sportivo può essere definito come “la modificazione comportamentale che è il risultato di esperienze che conducono allo stabilirsi di nuove configurazioni di risposta agli stimoli esterni, rappresentate dal susseguirsi di situazioni di movimento e di gioco”.

L’apprendimento motorio e sportivo implica un cambiamento nell’interazione tra il comportamento dell’atleta e gli eventi ambientali: avversari, compagni, momenti e situazioni di gioco. Le esperienze motorie e sportive si susseguono nel tempo le une dopo le altre e questi effetti d’interazione, dovuti al susseguirsi dei diversi apprendimenti, si chiamano transfert.

L’uomo ha studiato e imparato da sempre, anche senza conoscere la struttura della sua memoria, i meccanismi della motivazione e delle associazioni. E’ importante verificare com’è possibile migliorare le capacità di apprendimento legate alla propria formazione, nonché conoscere semplici accorgimenti che ci permettano di rendere l’apprendimento più rapido e stabile: tutto ciò è importante anche in ambito motorio e sportivo, soprattutto a livello giovanile.

Il primo passo sta nella conoscenza di un’efficace metodologia di studio, cioè la capacità personale di imparare produttivamente secondo le necessità dei diversi contesti, affidandosi a strategie stabili, duttili, elastiche e sperimentate. Possedere un metodo di studio significa riconoscersi in uno stile individuale, un sistema di risorse consolidate attraverso una storia e un’esperienza, una configurazione di criteri e scopi non arbitrari ma definiti, spiegabili e giustificabili, un assetto dinamico suscettibile di revisioni e di ristrutturazioni.

La capacità di imparare ad apprendere, cioè di controllare e potenziare le abilità cognitive e in generale le abilità di interazione con il mondo esterno e il mondo interiore, agendo in particolari sul proprio processo percettivo, è l’assunzione della responsabilità di ciò che siamo, di ciò che facciamo e di ciò che decidiamo.

La motivazione è la spinta che ci permette di fare e una delle sue dimensioni fondamentali è l’accettazione e l’aderenza a un programma: siamo motivati quando condividiamo cosa fare, come fare e quando fare. Ciò implica la necessaria consapevolezza dell’obiettivo da raggiungere e accettarlo come un qualche cosa che proviene dalle nostre esigenze personali: la motivazione è correlata al raggiungimento del risultato (quando non riusciamo a giocare bene, spesso, diventiamo aggressivi, irascibili e molliamo o rimandiamo).

La motivazione può essere estrinseca (è legata al raggiungimento dell’obiettivo per ottenere gratificazioni e/o incentivi) o intrinseca (legata all’autorealizzazione, cioè al raggiungimento di obiettivi che tu desideri).

Tra le due la più potente e duratura è quella intrinseca, perché ci permette di godere, non solo della performance, ma soprattutto del nostro impegno e della conoscenza in se stessa (le esperienze che sono state connotate da un vero e profondo interesse rimangono più profondamente radicate nella nostra memoria).

La motivazione da sola, però non rende completamente conto del perché alcuni atleti, malgrado le difficoltà, riescano ad essere efficaci e altri “mollano”.

Uno dei fattori determinanti che influenzano la motivazione è il modo che noi abbiamo di pensare al successo e di valutare la percezione che possiamo raggiungerlo. Tale differenza è legata al come si valutano le esperienze di successo (è stato un colpo di fortuna) e di fallimento (non sono capace di fare niente).

Bandura ha sottolineato come al di sotto di tali processi di attribuzione di causa (successo o fallimento) esista un elemento che caratterizza quasi tutte le azioni umane: il senso di autoefficacia che deriva dalla convinzione che tu hai circa le tue capacità di produrre azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni, anche quelle impreviste, per raggiungere risultati prefissati e desiderabili.

Queste convinzioni influenzano in modo considerevole il modo in cui noi tutti pensiamo, ci sentiamo, agiamo e in modo particolare sulla nostra motivazione.

Le convinzioni di efficacia si sviluppano in noi, partendo da 4 fonti principali:

1) i successi che abbiamo conseguito sviluppano il senso di fiducia nelle nostre capacità, mentre i fallimenti la indeboliscono: ciò è più dannoso se i fallimenti sono all’inizio di un percorso, cioè dove c’è poca esperienza. E’ importante ricordare che le modalità che portano al successo (o al fallimento) tendono a “fissarsi” e per concretizzare un senso di efficacia solido queste esperienze devono essere raggiunte attraverso la nostra persistenza e abilità creativa;

2) l’osservazione e l’emulazione di “modelli efficaci” che raggiungono i loro obiettivi perseverando, incrementeranno la nostra convinzione nel riuscire;

3) la persuasione, cioè la convinzione di avere le abilità e le capacità di realizzare il nostro obiettivo, ci permetterà di mantenere l’impegno necessario per raggiungerlo: più la persuasione migliora la fiducia in noi stessi, più svilupperemo abilità. Le persone che sono persuase della loro incapacità, tenderanno a evitare prove impegnative e rinunceranno rapidamente di fronte alla difficoltà. Tutto ciò restringe il loro raggio d’azione, creando comportamenti scadenti che diventeranno una ulteriore conferma dell’insuccesso;

4) anche l’aspetto emozionale influenza molto la prestazione, se è positivo aumenta il senso di autoefficacia, se è negativo lo diminuisce.

[Tweet “Motivazione e attenzione s’influenzano vicendevolmente nel processo dell’apprendimento.”]

Oltre alla motivazione, anche l’attenzione mostra di non essere costante, ma di variare con un ciclo caratterizzato da un periodo di circa un’ora e mezza. Ciò significa che nel periodo di un’ora e mezza viviamo una fase di circa 45 minuti nei quali siamo più attenti della media e una fase di circa 45 minuti in cui rendiamo meno.

La disponibilità all’impegno e all’apprendimento non è sempre costante. Lo scarso interesse verso un argomento e/o la mancanza di una scadenza o di altre forme di pressione “esterna” limitano l’attivazione: ci si applica per un certo tempo e poi, quando inizia il calo fisiologico dell’attenzione, si tende ad abbandonare l’impegno, senza probabilmente riprenderlo in seguito.

Se invece si è molto motivati, o per interesse o per congiunture temporali, pur andando incontro alle normali fluttuazioni dell’attenzione, i momenti di disattenzione sono ridotti a intervalli di pochi minuti. E’ importante conoscere queste caratteristiche fisiologiche della fluttuazione dell’attenzione per non pretendere un’impossibile resa costante nel tempo. Una breve pausa o una variazione dell’attività è spesso sufficiente a recuperare un buon livello attentivo, specie se si scelgono break piacevoli ma non troppo coinvolgenti che rischierebbero di distrarre troppo.

Pretendere attenzione per molto tempo crea stress e tensione: la tensione continua e ininterrotta può provocare un fenomeno conosciuto come “inibizione reattiva” (effetto “nausea”).

Nel percorso dell’imparare ad apprendere (learning to learn) intervengono altri fattori che possono influenzare positivamente e/o negativamente l’ottimizzazione delle risorse che mettiamo in atto:

1) utilizzo e gestione del tempo: gestire il tempo è un’abilità che è sempre più richiesta in tutti i campi di lavoro. Per gestire in modo appropriato il tempo e non cadere nella procrastinazione, è necessario programmarlo secondo i propri obiettivi e la programmazione della propria “agenda”.

Per identificare gli obiettivi che si vogliono raggiungere ci si deve, in primis, chiedere dove si vuole andare e dove si può arrivare. E’ importante ricordare che esistono obiettivi a lungo, medio e breve termine e che ognuno di essi deve essere chiaro, programmabile, realistico e raggiungibile.

2) capacità di ascolto: utilizzare l’ascolto come apprendimento. Alcuni considerano la conoscenza teorica in ambito motorio e sportivo come una perdita di tempo, tuttavia quest’attività non dovrebbe essere considerata a sé stante rispetto alle capacità specifiche di gioco.

Per ottimizzare l’ascolto è necessario creare le condizioni fisiche e mentali affinché avvenga, riducendo in tal modo la dispersione dell’attenzione.

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Prof. Maurizio Mondoni
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