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L’età evolutiva e l’avviamento allo sport

L’età evolutiva e l’avviamento allo sport

La problematica dell’avviamento all’attività sportiva in età evolutiva ha sempre tenuto vivo l’interesse degli addetti ai lavori, per i molteplici aspetti di ordine motorio-medico-biologico che essa presenta, strettamente legati alla tendenza attuale di anticipare nei giovani l’inizio della pratica sportiva.

L’età evolutiva comprende sei periodi:
–         neonatale (dal 1° al 15° giorno di vita);
–         prima infanzia (dal 16° giorno al 2° anno di vita);
–         seconda infanzia o fanciullezza (dai 2 ai 6 anni);
–         terza infanzia (dai 6 anni ai 10-12 anni: crisi puberale);
–         pubertà (dai 10-12 anni ai 15-17 anni);
–         adolescenza (dai 17 ai 21 anni per le femmine e 25 per i maschi: fine dell’accrescimento somatico).

Di questi sei periodi, la terza infanzia e la pubertà (dai 6 ai 15-17 per i maschi e dai 6 ai 13-15 per le femmine) sono i periodi che presentano maggiore interesse riguardo ai rapporti tra accrescimento e attività fisico-sportiva.

In riferimento all’attività motoria e sportiva, occorre distinguere tra:
–         “attività fisica tout-court” con le varianti ludico addestrative e di mantenimento;
–         “attività sportiva propriamente detta”, con le sue varietà agonistiche e non agonistiche.

Nell’attività fisica “tout-court” sono comprese tutte le attività di movimento che si prefiggono lo svago, il divertimento e l’addestramento del corpo, volte a migliorare gli schemi motori di base e posturali e le capacità motorie individuali e di conseguenza lasalute e il benessere fisico.

Nell’attività sportiva “propriamente detta” l’elemento caratterizzante è la competizione, la tendenza a gareggiare, a superare l’avversario, a confrontarsi, caratteristica del resto connaturata alla specie umana.

Sul gradino più alto della scala dell’impegno psico-fisico troviamo l’agonismo; agonismo non significa solo lotta, ma amore per la lotta. L’agonismo è una componente insopprimibile della pratica sportiva, da non confondersi con l’antagonismo, cioè vincere a tutti i costi utilizzando anche mezzi sleali. I giovani devono affrontare l’agonismo come esperienza di crescita individuale e di consapevolezza.

[ctt tweet=”Il concetto di agonismo sottolinea che l’importante è confrontarsi e verificare quanto una persona vale” coverup=”f8Acp”]

Spesso è stato affermato che l’importante è partecipare, ma secondo noi l’importante è mettersi in gioco subito, senza eccessivi stress o ansie (educare alla vittoria e alla sconfitta).

Importanza ed effetti dell’attività fisico-sportiva “tout-court”
Sull’utilità e necessità dell’attività fisica “tout-court” nei soggetti in età evolutiva, si è tutti d’accordo: una non pratica o una sua diminuzione danneggia il loro sviluppo psicomotorio.

estonia mondoni minibasket

estonia mondoni minibasket

E’ noto che il movimento ha una notevole importanza nello sviluppo dei meccanismi cognitivi. Stephard e Volle affermano che esiste una correlazione positiva tra l’aumento dell’attività motoria e l’accelerazione dello sviluppo psicomotorio, con un miglioramento di tutte le funzioni intellettuali. Vietare al bambino il movimento, il gioco e l’attività fisica può alterare il suo futuro rapporto con queste attività ed essere spesso causa del suo isolamento sociale. Carichi di lavoro insufficienti possono essere responsabili di una significativa riduzione della quantità degli stimoli indispensabili al normale sviluppo degli organi e degli apparati.

Nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria poco è il tempo dedicato all’Educazione Psicomotoria e al gioco-sport, due ore di Educazione Fisica la settimana nella Scuola Secondaria Inferiore e Superiore sono insufficienti per un individuo che non pratica altre attività sportive (carico di lavoro basso che non produce effetti positivi). Cheek ha stabilito che il numero definitivo di cellule e nuclei muscolari dell’adulto è determinato dalla loro moltiplicazione in età infantile, in funzione principalmente di un’attività fisica praticata.

La più alta intensità di moltiplicazione si raggiunge attorno ai 10 anni di età; in seguito si verifica una diminuzione con progressivo aumento dell’ipertrofia.

Ben conosciuto è anche l’effetto positivo che l’attività fisica ha sulla crescita e sul metabolismo delle ossa. L’immobilismo e il sedentarismo negativizzano il bilancio dell’azoto e del calcio (principale costituente delle ossa); l’attività fisica, al contrario, esercita un effetto positivo su entrambi.

Il “mangiare male” e il non esercizio fisico, portano inevitabilmente al sovrappeso, perché tutto ciò che è ingerito non è “bruciato” e quindi, va ad aumentare la “massa grassa”.

La sedentarietà e il non movimento sono indici di sovrappeso e di obesità, che in futuro potranno registrare nell’individuo conseguenze negative come il diabete e problemi a livello cardio-circolatorio.

Il carico di lavoro e relativi effetti
E’ difficile definire l’ottimale livello di attività fisica e sportiva necessaria allo sviluppo fisiologico del singolo individuo.

Gli studi sul rapporto tra esercizio fisico ed accrescimento sono numerosi e tutti concludono che l’esercizio fisico, se praticato con oculatezza, può provocare modificazioni e adattamenti paragonabili  a quelle conseguenti all’accrescimento.

Purtroppo molti giovani nel tempo libero guardano la televisione, giocano con la “play station o al computer; praticano poco movimento e anche e l’attività sportiva spesso diventa un “optional”.

Più complessa si presenta la problematica concernente il rapporto tra accrescimento fisico e sport agonistico. Essa comporta l’esame critico di molteplici aspetti che vanno dall’indicazione o alla controindicazione della pratica sportiva, dalla valutazione degli effetti favorevoli sull’evoluzione psicofisica del soggetto agli effetti negativi e ai danni che ne possono derivare se condotta male.

Sull’argomento esiste una copiosa letteratura e numerose sono state le polemiche, anche aspre tra pediatri e medici sportivi. I primi ravvisano un possibile danno nella specializzazione precoce; di parere diverso sono i secondi che, forti di una solida esperienza acquisita negli anni e confortati dai fatti (ad esempio i record olimpici e i titoli mondiali conquistati in più discipline da giovani o giovanissimi, senza alcuna conseguenza sul loro stato di salute e sull’equilibrio psicofisico), ritengono a buon diritto che l’attività sportiva, anche agonistica, non sia di per sè responsabile di danni immediati o a distanza. Col passare del tempo i contrasti hanno ceduto il passo a discussioni e confronti più pacati, ma soprattutto ad un maggiore approfondimento del problema.

Allenarsi una o due volte la settimana produce pochi effetti positivi a livello di organi e apparati, allenarsi troppo e con metodi di allenamento poco corretti porta alla sindrome del superallenamento, con effetti negativi anche a livello psicologico.

Oggi si può affermare che tutti sono sostanzialmente concordi nel ritenere che un’attività motoria e sportiva “controllata” non solo non nuoce, ma può addirittura arrecare benefici anche al soggetto in età evolutiva.
In questo senso si orienta anche la nostra esperienza personale, maturata in oltre trenta anni di insegnamento, formazione, aggiornamento, osservazione e controllo periodico di giovani dediti allo sport, presso la F.I.P., il C.O.N.I., l’Università e gli Istituti di Medicina dello Sport.

 

MONDONI Minibasket in Brasile

MONDONI Minibasket in Brasile

Secondo noi
Secondo noi è dannosa la specializzazione e la tecnicizzazione precoce (aumento del carico di lavoro, esaltazione del campione, esasperazione nel lavoro analitico, utilizzo di feedback negativi), che comporta successivamente nel giovane, ansia da stress, superallenamento e conseguente abbandono.

Non si può pensare di migliorare la tecnica esecutiva di un gesto se prima non si educano e si sviluppano le capacità motorie (condizionali, di mobilità articolare e coordinative).

Fin dall’inizio è necessario stimolare gli allievi a perfezionare il gesto; un insegnamento qualitativo precoce, basato sulla presa di coscienza dei propri movimenti, garantisce un apprendimento a lungo termine, più fine e più stabile.

Sicuramente l’acquisizione di una tecnica corretta da parte dei propri atleti è l’obiettivo di ciascun allenatore, ma bisogna andare per gradi e non esagerare subito!
Spetta all’Istruttore trovare soluzioni per favorire lo sviluppo tecnico-tattico dei soggetti che allena, per permettere a tutti di raggiungere il massimo delle loro potenzialità individuali.

Lavorare in modo estremamente specializzato su alcune abilità è dannoso e porta spesso al “drop-out”.
L’Istruttore deve essere un artista, deve educare sia alla vittoria che alla sconfitta, perché umano è vincere e umano è perdere, anche se perdere rompe.

La capacità di lavoro aerobico e anaerobico
La capacità di lavoro aerobico, misurata attraverso il rilievo del VO2 max (massimo consumo di ossigeno), risulta particolarmente favorevole nell’età evolutiva.
Il soggetto, in età evolutiva, è in condizioni, dal punto di vista bioenergetico, di fornire buone prestazioni di tipo prolungato (resistenza aerobica), nonché in quelle di brevissima durata (potenza anaerobica alattacida).
Difetta invece nel lavoro di tipo anaerobico lattacido, cioè in quelle discipline sportive che richiedono una notevole capacità di sopportare tassi elevati di acido lattico.

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Adattamenti cardio-circolatori e modificazioni che aumentano la capacità funzionale
Un aspetto tra i più delicati è senza dubbio quello concernente gli adattamenti cardio-circolatori e delle modificazioni anatomo-funzionali che si verificano a carico del cuore, in chi pratica sistematicamente e correttamente un’attività sportiva (principi e caratteristiche del carico motorio).

In passato erano state avanzate preoccupazioni circa i probabili danni provocati da una pratica sportiva agonistica in età precoce.

Le esperienze acquisite in questi anni, non solo ne hanno dimostrato l’infondatezza, ma addirittura alcuni adattamenti si realizzano più facilmente e con maggiore efficacia quando l’attività motoria e sportiva è iniziata in giovanissima età.

Infatti, anche se la frequenza cardiaca (che è già elevata a riposo), tende durante l’esercizio fisico ad aumentare in modo rilevante (un bambino può arrivare anche a 160 pulsazioni e non succede nulla), comportando un “uptake” di ossigeno inferiore a quello di soggetti di maggiore età (a causa di una minore gittata sistolica), un allenamento ben condotto (miglioramento della resistenza aerobica), porta ad un miglioramento di questa situazione, tramite modificazioni (adattamenti) che aumentano e migliorano la capacità di prestazione dell’individuo.

E’ stato appurato che l’aumento di volume del cuore (cuore d’atleta), conseguente ad un adattamento fisiologico, che per anni è stato considerato un probabile fattore di rischio per il possibile verificarsi di un’insufficienza coronarica con conseguente deficit funzionale miocardico, costituisce una premessa per l’ottenimento di notevoli “performance” cardiache in età adulta, stante la possibilità di raggiungere e mantenere elevate portate ematiche.

Broffman ha notato che molti mesi di allenamento ben condotto, sviluppano il cosidetto “cuore d’atleta” in giovani di 10-13 anni, senza che ne conseguano danni.

Shepard ha dimostrato che il sistema cardio-respiratorio può essere sottoposto a carichi di lavoro controllati sin dagli 8-10 anni.

MONDONI Cristo Re Cremona

MONDONI Cristo Re Cremona

Rapporto tra l’attività sportiva e l’apparato locomotore
Il rapporto tra l’attività sportiva e l’apparato locomotore è molto importante, in considerazione del particolare momento evolutivo in cui si trova il soggetto.

In questa fase evolutiva, le ossa, le articolazioni, i muscoli e i tendini, non hanno ancora raggiunto la massima e definitiva capacità di resistenza e ciò costituisce il principale fattore limitante per talune discipline sportive basate su esercizi intensi e prolungati.

E’ indispensabile accertarsi all’inizio dell’attività che l’apparato locomotore non presenti malformazioni articolari e osteo-muscolari, paramorfismi e dismorfismi, che potrebbero peggiorare in seguito la pratica sportiva (importanza delle visite mediche periodiche di controllo).

Sono da evitare fino ad un certo periodo (13-14 anni circa) i sovraccarichi (isometria, balzi, pliometria, pesi); si devono privilegiare lavori a carico naturale o con  piccoli attrezzi, cioè attività basate sull’equilibrio, coordinazione, etc., senza eccessivi carichi sulla colonna vertebrale e sulle articolazioni degli arti inferiori. Successivamente e in modo progressivo si possono aumentare i carichi (bastoni di ferro, pesetti, pesi liberi), tenendo sempre conto delle caratteristiche dell’individuo.

Lo stretching, secondo noi, si deve proporre solamente a partire dai 13 anni, in quanto le articolazioni e gli annessi articolari non sono pronti per sopportare carichi di tensione muscolare troppo elevati.
Si è notato che chi pratica attività sportiva (in particolare pattinaggio, ciclismo e ginnastica artistica) in età prepubere, possiede buone doti stilistiche e armonia nei movimenti, non riscontrabili invece nei coetanei che non praticano nessuna attività sportiva, in quanto tutto ciò deriva dal fatto che i sedentari hanno carenze nel camminare, nel correre, nel capovolgersi e nel saltare.

[Tweet “E’ importante dai 6 ai 10-11 anni “giocare allo sport”, non praticare lo sport”]

Al giorno d’oggi molti giovani non vogliono impegnarsi in attività competitive e che richiedono allenamento, in quanto non intendono sopportare psichicamente il disagio provocato dalla fatica muscolare.
Tutti sono d’accordo sull’utilità del movimento e dello sport in età evolutiva, in quanto momento gradito, gratificante e “liberatorio”.

Molti studiosi si sono interessati di questo importante fenomeno.Secondo Moore lo sport e l’agonismo costituiscono un caposaldo dell’igiene mentale,Antonelli sostiene che l’agonismo costituisce la versione socializzata dell’aggressività, la quale, pur essendo un’energia connaturata alla specie umana, oltre che necessaria, può in teoria degenerare in senso asociale. Nella sua accezione più vera, lo sport non deve pretendere il successo ad ogni costo, ma rappresenta la palestra i cui il giovane costruisce il suo carattere e la sua personalità e pone le basi per un “sano” futuro (cittadino del domani).

Ricordiamoci che l’esasperata attività agonistica in età non adatta, comporta per il giovane situazioni stressanti:
–         prima della gara (ansia, paura del successo o dell’insuccesso)
–         durante la gara (responsabilizzazione estrema)
–         al termine della gara  (rimproveri o esaltazioni).

I giovani che praticano lo sport in modo eccessivo, non ridono più durante gli allenamenti, si isolano, vivono in modo drammatico le sconfitte, sono tristi, vogliono sempre vincere, copiano comportamenti poco corretti dei campioni, quando sbagliano sono puniti e spesso sono aggressivi e asociali.

Conclusioni
Si può con ragionevole certezza affermare che da un’attività sportiva praticata con una corretta metodologia, non derivano danni in un soggetto sano.
Un importante compito di controllo deve essere svolto dai medici sportivi (visite mediche periodiche) e dagli Istruttori (non esagerare nel carico di lavoro, empatia, evitare le punizioni e i sovraccarichi eccessivi), ma non certo inferiore a quello della famiglia (attenzione, cura e amore), che devono vigilare sul suo comportamento generale ed in particolare su quello igienico-alimentare, oltre a fornirgli un valido supporto psicologico (stare con gli altri, accettare e farsi accettare, etica sportiva, fair-play e riscoprire i valori della vita e dello sport).

Nell’avviamento allo sport a livello giovanile devono essere escluse tutte le attività sportive non congeniali alle prime fasce d’età, quelle che comportano impegni rilevanti di limitati distretti muscolari (monolaterali e disarmonici), quelle con sovraccarichi eccessivi per le strutture osteo-articolari.
E’ molto importante che gli Insegnanti e gli Istruttori siano preparati e competenti (non solo tecnicamente) quando insegnano ed allenano e che conoscano il giovane nei suoi diversi aspetti (cognitivo, affettivo, morale, sociale e motorio) e sappiano applicare metodologie di insegnamento e di allenamento corrette e consequenziali.

Se ciò non avviene, il giovane si disinteressa dello sport e non ne comprende i valori, si annoia e abbandona (“drop-out”) dopo i 12-13 anni, per poi, magari ritornare alla pratica sportiva a carattere amatoriale più avanti (dopo i 20 anni).

La percentuale dell’abbandono è molta alta negli sport individuali (atletica leggera, nuoto, ginnastica artistica), meno negli sport di squadra, nei quali il meno bravo si nasconde dietro ai più bravi e vince con loro (fino ad una certa età poi abbandona definitivamente).
Se nella preparazione ci si attiene ad un comportamento ortodosso e razionale, con i necessari controlli, le attività sportive in età evolutiva, anche agonistiche, possono essere praticate senza il rischio di danni immediati o a distanza, bensì con i benefici che ne derivano.


Ci sono piccoli occhi che ogni giorno osserveranno quello che tu farai e giovani orecchie che ogni giorno ascolteranno ciò che tu dirai e mani inesperte che vorranno imitare ciò che tu mostrerai.
C’è un bambino che ogni giorno sogna di diventare come te.
Tu sei l’esempio per un piccolo uomo che vuole crescere nel mondo in cui tu sei cresciuto e per questo non dubita mai di tutto quello che fai.
I suoi occhi sono spalancati su di te e la sua giovane mente è convinta che tu hai sempre ragione.
Sii una buona guida per chi vuole crescere e diventare grande”.

Non deluderlo, tutto dipende da te Istruttore, non sbagliare!

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Prof. Maurizio Mondoni
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